Minori e malasanità: quando l’ospedale uccide

Negligenze, cure sbagliate, fatalità. Da Villa Mafalda al Pronto soccorso di Tarquinia: il dramma dei bambini vittime di errori medici

Le sirene dell’ambulanza, la corsia di un ospedale, la ricerca di un aiuto, la sicurezza di affidarsi a mani esperte. Per alcuni il sollievo di una guarigione. Per altri, troppi, la tragedia. In Italia, secondo una rilevazione del 2011, le vittime della malasanità si aggirano intorno ai 45mila all’anno; il 5,2% dei pazienti è a rischio, il 9,5% di questi perde la vita. E il dramma aumenta le sue proporzioni se a morire sono i bambini.

Roma, Villa Mafalda, la clinica privata che, qualche tempo fa, è diventata tristemente famosa per il decesso (avvenuto tra le polemiche) dello scrittore e regista Alberto Bevilacqua. Giovanna, una bambina di dieci anni entra in sala operatoria alle otto di mattina del 30 marzo per un banale intervento chirurgico al timpano. La serenità è quella dell’operazione di routine, fatta e rifatta tantissime volte. Zero possibilità d’errore per un’équipe medica che annovera tra le sue fila alcuni tra i maggiori specialisti nel campo dell’otorinolaringoiatria della Capitale. E invece, qualcosa va storto. Il cuore di Giovanna non batte più e in poco tempo la bambina smette di respirare. Nove persone fino ad oggi, tra medici e personale sanitario, sono state iscritte nel registro degli indagati; tra queste l’otorino Giuseppe Magliulo che si difende dicendo: “Quel tipo d’intervento non può dar luogo ad arresto cardiaco. Non sono un mostro”. Il primo risultato dell’autopsia ha mostrato  che la piccola paziente era sana e la responsabilità di quell’errore deve essere ancora accertata.

Montalto di Castro, provincia di Viterbo. È fine marzo quando Leonardo, un bimbo di appena 3 anni,  ha la febbre altissima. I genitori non perdono tempo e corrono al pronto soccorso dell’ospedale di Tarquinia. Dopo nemmeno un’ora i medici lo rimandano a casa nel tardo pomeriggio, solo con una cura per faringite febbrile. La sera Leonardo si addormenta, si risveglia alle 3.30 di notte per bere un po’ di latte e si rimette a letto. Non aprirà più gli occhi. Il dottore del 118, intervenuto a decesso avvenuto, ha riferito che il bambino non si è accorto di nulla, che non ha sofferto. L’autopsia ha escluso qualsiasi forma di meningite o encefalite. Anche questa volta, la piccola vittima non presentava problemi di salute se non quella febbre. Le indagini sono ad oggi in corso per valutare le eventuali implicazioni della struttura sanitaria.

E ancora, Ostia, Caserta, Andria, Cosenza, Foggia. Un intervento banale, un malessere improvviso su un campo di calcio, un errore nella somministrazione di un farmaco: giovani vittime strappate all’affetto dei cari, private della gioia di vivere. I casi di decessi tra i minori causati da errori medici sono un fenomeno sempre più preoccupante.

“Al momento – dice Francesca Piroso, direttrice dell’associazione Periplo Familiare che, dal 1998, tutela su tutto il territorio italiano le famiglie di chi è vittima di malasanità – non è possibile stabilire quanti siano i minori che sono colpiti da questa sciagura. Molto spesso si è convinti che la giovane età del paziente sia sinonimo di salute piena e, per questo motivo, il problema per cui ci si rivolge alla struttura ospedaliera viene sottovalutato. È un mito che bisogna sfatare. Penso, ad esempio, alle malattie cardiache che sono molto difficili da diagnosticare: a volte non basta un semplice elettrocardiogramma per far emergere delle patologie lievi che, tuttavia, per alcuni interventi possono essere determinanti”.

Malasanità e malpractice sono i due problemi di fondo che colpiscono il sistema ospedaliero italiano, da nord a sud, dalle strutture pubbliche alle cliniche private. Non solo, dunque, le carenze causate da anni di tagli alla sanità, ma anche le negligenze dei singoli. Secondo l’avvocato Alessandro Maria Tirelli, esistono tre dinamiche diverse che determinano l’errore: quando chi opera lo fa senza cognizione di causa poiché non è in grado di far fronte alle esigenze del paziente; quando il medico ripone eccessiva fiducia nelle proprie capacità e utilizza il paziente come “cavia”; quando si sottovaluta il problema e si incorre in una diagnosi sbagliata.

Moltissimi casi si chiudono attraverso l’esercizio della mediazione, spiega l’avv. Tirelli, grazie alla quale si può arrivare a una conclusione anche in un tempo ragionevole. Ma quando ci si imbatte in un processo civile, i tempi si dilatano in maniera drammatica e si può arrivare anche a 4-5 anni d’attesa per ottenere la sentenza.

Un’attesa snervante che rischia di frustrare ulteriormente una famiglia già devastata dalla perdita di un caro o dal torto subito. Molto spesso, infatti, la richiesta di un risarcimento per l’errore medico non è dettata da un semplice desiderio di rivalsa o di vendetta nei confronti di chi l’ha commesso: a volte è indispensabile per affrontare situazioni di grave invalidità (che possono essere superate soltanto a fronte di spese importanti) o di indigenza della famiglia della vittima.

Ma quando a morire è un bambino, rimane solo il vuoto incolmabile della disperazione: il sistema diventa un nemico, la società viene vista con l’occhio della disillusione, il dottore, da ancora di salvezza che era, viene percepito come una persona incapace di svolgere il suo ruolo a pieno titolo. Si spegne la luce per sempre. E non c’è scusa, risarcimento o consolazione che tenga.

Fonte: Reporter Nuovo